Nella Search (Google) Engine Optimization vige, come nella fisica, la legge di conservazione di massa:
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma (Antonie-Laurent de Lavoisier).
Questo status quo delle cose, apparentemente turbato da Search Quality update roll-backati nel giro di qualche mese, è forse dovuto al fatto che dietro a un servizio – il motore di ricerca – vi è un monopolista di settore come Google che ha ormai il totale controllo del mercato e come tale ha finito per esaurire la sua spinta innovativa. Le vere implementazioni, come la ricerca locale, sono sviluppati quasi come servizi a parte, integrati nella grande macchina.
La glossa vuole introdurre una considerazione importante: è almeno dall'estate di un lustro fa che con Pasquale Gangemi si parlava di Private Blog Network ai fini di accrescere il valore off-page di un sito. Da allora, forse abbiamo guadagnato mezzo grado in più nelle temperature afose, ma sembra che neanche quello sia stato fatto nella SEO.
Difatti si vedono ancora in giro PBN vecchio stampo, strutture a tier piramidali tanto vecchie che forse persino Ramses pensava al posizionamento seppur per l'aldilà (*spoiler alert*: in realtà in alcuni settori funzionano ancora benissimo).
Proviamo a fare uno scatto in avanti, come i più avveduti growth link builder stanno già facendo con spirito imprenditoriale: trasformiamo i private blog network in veri e propri portali editoriali con delle strategie di crescita reali.
Come sviluppare un progetto editoriale da una PBN
Voglio essere sincero e schietto: se la nostra intenzione è quella di spingere la PMI tipica con basso-medio budget, allora facciamo prima a riprendere qualsiasi vecchio articolo qui sul blog di SEMrush o in giro nella Rete, tirare su due portalini droppati, oppure ancora a rivolgerci a un professionista con una propria batteria di link, pronto a spararli per qualche decina di euro.
Le anime belle diranno che è un consiglio rischioso e azzardato ma, a conti fatti, sono le stesse che, quando avevo anch'io con il vecchio studio la "carne da link", mandavano le mail per saperne i costi (senza immaginare che rispondevo direttamente io, e mi si permetta un antico LOL).
Sviluppare un progetto editoriale da una PBN significa dedicare gran parte delle proprie energie lavorative, economiche e temporali, alla realizzazione di un portale reale, credibile, trafficato e di vero valore che trascende le metriche di tool a basso costo.
Queste ultime sono facilmente ingannabili tirando su dei sitarelli anche con strumenti automatici da vintage black hat.
L'intenzione qui è quella di investire a lungo termine, del resto stiamo parlando di Search Engine Optimization: con i ragazzi di REA Academy, l'ente in cui insegno e che per primo in Italia ha stretto una partnership formativa con SEMrush, stiamo lavorando quest'anno su dei progetti che vanno in questa ottica.
I passi per passare da PBN a portale editoriale evitando quelli falsi
Insieme ai miei studenti, vediamo quali sono i passaggi che permettono questa trasformazione.
1. Recupero nomi dominio con buoni backlink
Una delle poche scorciatoie ancora sfruttabili in questo processo è quello del recupero dei nomi dominio con buoni backlink, possibile anche grazie all'utilizzo di un tool come il Backlink Audit per valutarne la qualità.
*Falso mito sui domini dropped*: non è vero che un dominio scaduto è sempre un elemento con un buono storico e che costano poco. Anzi, visto che si tratta di un mercato molto lucrativo, la nascita di player sul mercato che acquistano in massa i domini davvero forti e poi li mettono ad asta ha reso la ricerca sempre più difficoltosa, pari a trovare qualcosa di decente nel cestone delle offerte all'autogrill. Si può avere ancora colpi di fortuna, ma se si vuole boostare tocca investire.
2. Server dedicati
Continuando su questo filone, ospitare i portali "evoluti" sugli stessi server che condividono IP a 10 euro l'anno significa non solo esporsi ad attacchi negative sempre più in auge, ma rendere rintracciabili sotto un unico indirizzo tutta la propria batteria d'attacco.
*Falso mito sui server dedicati*: non è vero che Google ignora questo parametro. Risulta molto facile con un Backlink Audit vedere come sia possibile raggruppare l'IP di provenienza dei siti che ci linkano e ovviamente questo ne riduce il valore e ne aumenta i rischi, visto che uno degli elementi in gioco presenta un pattern replicato.
3. Verticalità e qualità dei contenuti
Sebbene, come già scritto, funzionano ancora su nicchie particolari, gli antichi siti di article marketing, dove si parla di idraulica e dopo due post dei cappellini di compleanno migliori, sono – per usare un termine tecnico –sgamatissimi. Di solito la qualità scrittoria degli stessi articoli è davvero bassa, frutto di content discountplace, come andrebbero definiti.
La creazione di una redazione vera, competente e capace, su UN tema verticale rientra anch'essa nel filone dell'investimento di tutt'altro peso, che ripaga e rende il portale più di una content farm, scopribile per la cattiva pratica di inserire un link esterno a ogni contenuto, invece di alternare con post di qualità no-link.
*Falso mito sulla qualità dei contenuti*: non è vero che Google non sa distinguere la qualità di un testo. L'errore qui è sempre di percezione. Un contenuto utile e di qualità è un contenuto che soddisfa la domanda dell'utente ed è redatto secondo delle semplici regole di ottimizzazione. Non si tratta né di prendere 10 al tema di italiano né di vincere il premio Strega, solo di dare all'utente e al motore di ricerca ciò che vogliono. Insomma, non è la riscossa dei copy ma nemmeno dei SEO old style. Si tratta della rivolta dell'utilitarismo.
Il bene più grande per il maggior numero di persone è la misura di ciò che è giusto e sbagliato (Jeremy Bentham).
Quindi mano al volume di ricerche mensili nell'analisi keyword di SEMrush e andiamo a scrivere un contenuto che soddisfa questo bisogno. Jimmy vorrebbe così.
4. Realizzazione tecnica e di UX
Utilizzare per pigrizia lo stesso tema (magari pure gratuito) o tralasciare le pagine del " chi siamo", la cookie policy e tutto quello che rende un portale credibile è un altro dei peccati di venalità che non permettono a una PBN di evolversi in un progetto editoriale reale.
*Falso mito sull'ux*: non è vero che Google ignora questo elemento. Certo, e lo dico da giornalista, dire che una testata registrata rispetto a un portale che non lo è si posiziona meglio è un falso mito gemello, ma in fase successiva di trattativa commerciale con gli "umani" ha un suo peso. Tornando on focus, avere 10 siti identici anche nella struttura è un altro pattern riconoscibile rispetto a 3-4 siti che magari sono pure dichiaratamente parte dello stesso network ma sono realizzati con una bontà tale da avere maggior peso.
Da PBN a portale editoriale: ne vale la pena?
La domanda finale alla fine è molto concreta ovvero quanto è giustificabile un investimento di questa portata? In parte ho già risposto sopra, quando accennavo al fatto dei piccoli e medi clienti per i quali potrebbe essere sovradimensionato uno sforzo di questa portata, non fosse per altro per averne un ROI decente.
Certo se si pensa di fare poi del progetto editoriale un proprio asset o si lavora in ambiti in cui può essere giustificata tanta pena, allora benvenuto, sei dei nostriii (cit. lo Zoo di Radio 105).
E tu che cosa ne pensi? Hai qualche esperienza al rispetto?
Raccontamelo qui nei commenti.