La mia esperienza (da SEO Specialist) al Visual Storytelling Days
Definire il Visual Storytelling Days solo come un evento che parla di strategie e strumenti di Visual Storytelling mi sembra riduttivo. Per questo motivo ho impiegato qualche giorno a rimettere insieme gli appunti e ad approfondire i molti spunti ricevuti dalla due giorni di Milano organizzata da Studio Samo lo scorso 26 e 27 maggio.
12 speaker e molti ospiti si sono alternati sul palco nelle due giornate: momenti seri, ma anche ludici.
Un vero e proprio percorso che ha toccato tutti gli aspetti della comunicazione visual: partendo dalla definizione del posizionamento del brand e della sua identità, passando per l’analisi del processo di acquisto e l’elaborazione di una strategia di comunicazione con obiettivi chiari e precisi, fino all’utilizzo tecnico degli strumenti attraverso i quali mettere in pratica la strategia.
Io, dal mio canto, ero una delle poche, fra le 600 persone in sala, ad occuparmi di SEO e non di visual, grafica o social media. Inizialmente, la mia forma mentis, improntata ai motori di ricerca è rimasta un po' spiazzata, ma ben presto mi sono sentita a casa.
Perché non ci sono divisioni così nette:
Alla fine la SEO, il social media management, la grafica, o i video spot da soli non possono fare molto senza una strategia di marketing coordinata, per questo è importante spaziare in settori che non sono strettamente di nostra competenza, ma che possono apportare valore al nostro lavoro.
Vi racconterò quindi cosa mi è rimasto di questo evento!
Non mi soffermerò naturalmente su tutti gli interventi, ma mi concentrerò su quelli che mi sono serviti maggiormente nel mio percorso lavorativo attuale per trarre spunti di riflessione.
Posizionamento di un brand e analisi del processo d’acquisto offline e online
Quanta confusione facciamo spesso, anche tra addetti ai lavori, parlando di marketing e web marketing in maniera separata.
Un’azienda deve partire pianificando il proprio posizionamento sul mercato nel mondo reale
È essenziale definire quali sono gli obiettivi che l'azienda vuole raggiungere e, di conseguenza, costruire una propria identità coerente con i valori aziendali e scopi perseguiti. Importante anche capire qual è il target di pubblico al quale l'azienda decide di rivolgersi, chi sono i suoi clienti, e come acquistano.
Foto scattata da Valentina Fumo - Fonte Facebook
Il processo di acquisto può essere ricondotto a 3 momenti precisi e imprescindibili:
- Fmot (First Moment of Truth), si tratta del momento in cui l’acquirente entra in contatto in un negozio con il prodotto e decide, in un lasso di tempo che va dai 3 ai 7 secondi, se acquistarlo o meno;
- Smot (Second Moment of Truth), avviene nel momento in cui la persona, acquistato il prodotto, lo testa riportando un’esperienza positiva o negativa, in base alla quale deciderà se comprarlo nuovamente o meno.
- Zmot (Zero Moment of Truth), si colloca temporalmente come primo momento del processo di acquisto. Nel 2011 Google coniò questa definizione, che sta ad indicare l’abitudine che abbiamo sviluppato nell’ultimo decennio di informarci su un prodotto prima dell’acquisto su motori di ricerca e social, basandoci sulle esperienze degli altri con quel prodotto.
Per farci capire concretamente come un prodotto sia riconoscibile ad occhio nel Fmot, Carlotta ci ha mostrato alcuni packaging di marchi famosi, il cui logo era però oscurato, tutti abbiamo facilmente ricondotto la forma della confezione al prodotto giusto.
Da questo esercizio abbiamo capito facilmente come ogni prodotto vada inquadrato in un preciso posizionamento di mercato, avendo chiaro qual è l’obiettivo e chi sono i clienti ai quali si rivolge.
Elaborazione di una strategia. Un caso concreto: Mercatopoli
Una delle case history che mi ha colpito, nel racconto dell'elaborazione di una sua strategia, è stato il racconto di Alessandro Giuliani, Presidente di Mercatopoli.
Mercatopoli è una rete di negozi dell’usato oggi diffusa in Italia e all’estero, ma quando nacque nel 2003, la sfida di poter vendere qualcosa di usato era davvero ardua. L'Italia, al culmine dell’espansione degli effetti del boom economico, proiettata sul “nuovo”, non conosceva crisi, era quindi difficile pensare di piazzare un prodotto del genere sul mercato.
Foto scattata da Valentina Fumo - Fonte Facebook
La sfida è stata quella di cambiare la percezione del prodotto nell'immaginario comune.
Così, Mercatopoli si è interrogata sul significato del termine “usato” nella testa delle persone. Da ricerche, brainstorming e riunioni è emerso che questo lemma veniva associato a qualcosa di vecchio, sporco, logoro, inaffidabile perché usurato; al contrario, il nuovo veniva visto come bello, durevole e puro, in quanto mai utilizzato da altri.
È divenuta così impellente la necessità di raccontare ai clienti il prodotto, puntando sulla sua storia, sulla sua “anima” e sul suo valore emotivo e di utilità che avrebbe assunto per l’acquirente.
Un’altra leva di acquisto ben recepita dalle persone, è stata quella dell’impegno ambientale: usato non vuol dire per forza brutto e vecchio, ma di sicuro vuol dire dare nuova vita ad un oggetto, che altrimenti verrebbe gettato, inquinando. Riutilizzandolo facciamo, invece, qualcosa di buono e otteniamo in cambio il valore di non aver contribuito a sciupare l’ambiente.
La campagna pubblicitaria che ne è scaturita comprende una serie di mini video in cui sono gli oggetti usati stessi a raccontarsi: in uno degli spot un paio di scarpe rosse col tacco, troppo piccole per la vecchia proprietaria, cercano così due nuovi piedi ai quali accompagnarsi.
I Contenuti: come raccontare una storia - Il modello Cinderella di Vonnegut
Valentina Vellucci, Social Media Manager e Digital Analyst, ci ha presentato, invece, due interessanti modelli di narrazione, che valgono sia che decidiamo di raccontare una storia attraverso un video, sia attraverso una serie di immagini, sia attraverso un contenuto testuale.
Il primo modello è classico e rappresenta lo sviluppo di una storia secondo un principio semplice: un ragazzo, che si trova in una determinata situazione iniziale, incontra una ragazza, la perde, ma infine la ritrova e la storia si risolve con il lieto fine.
Fonte dell'immagine Studiosamo.it
L’inizio della storia è collocato nel grafico a metà tra un momento fortunato e un momento sfortunato, sostanzialmente un momento di normalità ed equilibrio, poi la curva si flette verso gli eventi negativi (perdita dell’amata da parte del protagonista), per poi risalire verso una soluzione della storia alquanto felice (la riunione dei due innamorati).
La regola della narrazione qui osservata vuole che tanto più la partenza della storia è negativa, tanto più la sua risoluzione sarà un climax positivo, che lascerà lo spettatore con una sensazione di soddisfazione e di coinvolgimento emotivo.
Il secondo grafico rappresenta il “modello Cinderella” e ricalca sostanzialmente quella che è l'impostazione narrativa della storia di Cenerentola.
Una ragazza decisamente sfortunata affronta una serie di difficoltà nella scalata verso il proprio momento felice (graficamente rappresentata dai gradini), che nella storia coincide con il ballo dove incontrerà il principe (primo climax nel grafico). A questo punto, però, scocca la mezzanotte e la situazione precipita improvvisamente, per poi risalire con il riconoscimento di Cenerentola da parte del principe e il conseguente lieto fine con il “e vissero felici e contenti”.
Fonte dell'immagine Studiosamo.it
I grafici di Vonnegut possono essere applicati praticamente ad ogni storia, quando ci sediamo in riunione col nostro staff, per decidere come costruire un contenuto di visual storytelling.
Strumenti e canali da tenere in considerazione in una strategia di Visual Storytelling
Durante il corso è stata fatta una vera e propria panoramica sia di strumenti da utilizzare per fare Visual Storytelling, sia di canali attraverso i quali divulgare i contenuti creati. Tra i canali abbiamo approfondito, in particolare, Facebook, YouTube, Pinterest, il canale Blog, Snapchat e anche Pinterest.
Tra tutti, quello che più mi ha colpito è il "bistrattato" Pinterest, spigatoci da Valentina Tanzillo,Head Social Media Manager di Studio Samo e organizzatrice del Visual Storytelling. Dico "bistrattato" perché in Italia, spesso, è considerato un social di serie B, avendo una diffusione tra gli utenti molto meno clamorosa degli altri.
Foto scattata da Valentina Fumo - Fonte Facebook
Effettivamente, Pinterest non è un vero e proprio Social Media, ma piuttosto un aggregatore di immagini in base ad interessi condivisi. Il suo nome, infatti, deriva da Pin (l’interazione di Pinterest attraverso la quale è possibile esprimere un apprezzamento per i contenuti) e interest, cioè gli interessi sui quali si basa l'intera organizzazione del social.
Pinterest è quindi un grande catalogo di spunti, idee sotto forma di immagini, suddivise e archiviate per interessi.
Beh, niente di strano direte voi, cosa c’è di interessante dal tuo punto di vista?
A me interessa soprattutto l’ottimizzazione dei siti web per i motori di ricerca e tutto ciò che è connesso alla SEO e Pinterest, a mio avviso, può aiutare molto in questo campo.
Come?
Pinterest e la SEO
Bournacle SEO
Esiste un concetto in marketing che si chiama “Bournacle SEO”, definizione coniata nel 2011 per descrivere un processo nel quale un piccolo pesce si lascia trascinare da un pesce più grosso.
In altre parole, una piccola azienda si fa trainare dal posizionamento organico di aziende dello stesso settore, ma più autorevoli in termini di posizionamento SEO.
Se sei in un settore che comunica principalmente attraverso le immagini, ad esempio un e-commerce oppure un sito di moda o arredamento, è più probabile che tu sia posizionato in Google con la pagina Pinterest del tuo sito web, anche se hai un sito altamente ottimizzato, oppure che tu occupi più posizioni per una SERP unitamente col tuo sito web e con la tua pagina Pinterest. L'interesse verso questo Social rispetto ad altri viene però dalla precisione con i quali i contenuti al suo interno si posizionano singolarmente sui motori di ricerca, spesso anche fra le prime posizioni.
È un po’ quello che succede per quegli e-commerce che si posizionano sia con lo store E-bay o Amazon e con il proprio sito web, oppure per quelle aziende che su SERP local si posizionano sia con Yelp, sia col proprio sito web.
Questa risorsa in Italia non è sfruttata ancora a pieno, ma ci sono alcune correlate che ci mostrano come Pinterest posizioni i propri singoli contenuti anche tra le prime posizioni di una SERP per Google.
La Search di Pinterest
Se torniamo a quello che abbiamo visto precedentemente riguardo al processo di acquisto e, più precisamente, alla definizione dello Zero Moment of Truth, ci renderemo conto che questo è il momento in cui un utente si informa su un prodotto, per capire se acquistarlo o meno.
Bene, questo è un momento particolarmente importante della SEO, perché consente di intercettare l’utente in un momento nel quale si sta informando e sta valutando l’acquisto. Come lo si fa? Grazie allo sviluppo di concetti chiave correlati a quello principale.
Esistono svariati tool, sia di Google, sia esterni per sviluppare un’alberatura di concetti chiave correlati a quelli principali di un sito: Pinterest potrebbe essere tra questi!
La Search di Pinterest, infatti, è sviluppata su concetti correlati, come quella di Google. Ossia, se immettiamo una parola chiave nella barra di ricerca, Pinterest ci restituisce una serie di ricerche correlate.
Inoltre, come la ricerca di Google Immagini, le foto sono catalogate e ricercabili anche attraverso tag.
Potrebbe, perciò, essere un supporto favoloso, insieme ad altri strumenti e allo strumento di ricerca delle keyword di AdWords per sviluppare sia un’alberatura di un sito, sia una mappa per i contenuti.
Inoltre, Pinterest ci può aiutare a produrre contenuti testuali originali.
Infatti, partendo dalle immagini e descrivendo ciò che vediamo, non sarà possibile avere contenuti duplicati o scopiazzati a destra e a manca, perché realizzeremo un elaborato completamente unico, che ancora non esiste.
Che cosa ne pensi di questi spunti di Visual storytelling per la SEO?
Io ho deciso di capire meglio come funzionano questi meccanismi e di testarli in prima persona, per poi raccogliere i risultati in un post e trarre le debite conclusioni.
Se anche voi avete fatto esperimenti simili, segnalateli nei commenti, li aggiungeremo al prossimo articolo sull’argomento!