Sono passati anni e tanti, tantissimi cinguettii, da quando su Twitter apparvero le prime parole precedute da quello strano simbolo, il cancelletto: #. Se prima dell’avvento e dell’affermazione dei social network la maggior parte delle persone lo conoscevano esclusivamente per la sua presenza sulle tastiere di telefoni e cellulari, col tempo è diventato un elemento onnipresente, travalicando addirittura la dimensione digitale.
Oggi l’hashtag è parte integrante della vita e della comunicazione, finendo su pubblicità televisive, cartelloni, giornali. Un nuovo modo di comunicare, o meglio, un codice diventato comune e quindi utilizzatissimo.
La genesi degli hashtag
L’idea iniziale che diede vita agli hashtag era geniale quanto semplice: utilizzarli come elemento in grado di aggregare messaggi su una precisa tematica. Una necessità che ben presto si fece rilevante nelle conversazioni social perché permetteva agli utenti di confrontarsi e interagire su topic precisi di loro interesse.
Un'intuizione che si dimostrò presto una delle principali motivazioni del successo di Twitter rispetto alle altre piattaforme, che non rimasero certo a guardare. Pochi anni e gli hashtag arrivarono infatti anche su altri canali come Google+ e Facebook, dove però il loro utilizzo pratico fatica tutt'oggi a trovare senso. Facebook è forse l'esempio migliore: tra la disabitudine degli utenti (no, non sono gli stessi di Twitter) unita a un motore di ricerca interna con una minor user experience, ne rende l'uso poco performante e strategico sin dall'integrazione.
E infine gli hashtag sbarcarono su Instagram, unico social oltre a Twitter ad avergli dato valore e rilevanza.
Per molti utenti e brand l'hashtag è, come detto, più un vezzo di comunicazione spinto da abitudine e mode. Lo si capisce dai molti post che tempestano i social con una serie di incomprensibili #love #lovemyjob #followme #follow4follow #like4like e così di seguito.
Hashtag: uno strumento fondamentale per la comunicazione digitale
È giunto il momento di dire basta allora?! Solo se desideri sprecare una risorsa tanto rilevante. A far la differenza, come per ogni strumento o tool, è sempre e solo l'utilizzo che se ne fa.
A cosa servono gli hashtag?
Gli hashtag sono veri e propri fil rouge, elementi di raccordo fondamentali per progetti di comunicazione multicanali e crossmediali, le stesse campagne tanto diffuse e richieste oggigiorno.
Un legame che, vista l'abitudine degli utenti, funziona in molti casi anche offline, diventando una delle poche vie capaci di avvicinare online e mondo reale (ti pare poco?).
I brand (come gli utenti) sono immersi in una moltitudine di media: il rischio è quello di vedere i propri messaggi frammentarsi, e così perdere buona parte del loro disegno generale. Un problema la cui migliore risposta sta proprio negli hashtag, grazie alla loro funzione di aggregazione dei contenuti e alla capacità di essere trasversali a quasi tutti i canali di web e social.
Il paradigma della comunicazione aziendale cambia radicalmente: da verticale (io parlo, tu, utente, ascolti) a orizzontale (si punta su dialogo e relazione). È benzina per il word of mouth degli utenti, passo fondamentale verso campagne realmente “social”, che promuovano il coinvolgimento dei fan ed i loro contenuti.
Hashtag, la chiave per gli user generated content
Viralità e buzz fanno da sempre rima con UGC (user generated content), ovvero tutti quei contenuti prodotti dagli utenti e pubblicati sui loro canali. Caption, foto e video che popolano il web pronti per essere visti da altri utenti e, molto spesso, utilizzati dai brand.
Gli hashtag hanno il fondamentale ruolo di aggregare questi contenuti, rendendoli facilmente rintracciabili, ma soprattutto fungendo da tag e massimizzando l'effetto community.
Accompagnare i propri post con il giusto hashtag è molto più che postare, si diventa automaticamente parte di un gruppo di persone che, nella maggior parte dei casi, hanno stessi gusti, passioni, interessi.
L'uomo è per natura un animale sociale ed è quindi facile comprendere quanto possa valere per qualsiasi utente la possibilità di far parte di un gruppo e condividere momenti, sensazioni, emozioni. Un valore che va ad aggiungersi alla credibilità data dalla spontaneità e dalla natura umana di questo tipo di contenuti. Plus che derivano dal loro essere creati direttamente dagli utenti. È innegabile: tendiamo a fidarci maggiormente di un contenuto pubblicato da una persona rispetto a uno veicolato da un account aziendale.
Un ottimo case study in tal senso è la campagna #whitecupcontest promossa da Starbucks in Canada e USA. Gli utenti sono stati incoraggiati a decorare la loro Starbucks Cup, creando un post social con la foto e l’hashtag dedicato (#whitecupcontest appunto). Il design vincitore è stato prodotto come cup in serie limitata.
I risultati? Ben 4mila contenuti spontanei in appena 3 settimane, senza dimenticare i vantaggi legati al coinvolgimento diretto dei clienti e alla valorizzazione dei brand lover.
Le caratteristiche dell'hashtag perfetto
Avrai certamente compreso a questo punto quanto la scelta di un hashtag sia un processo strategico che necessita prima di tutto di analisi. Improvvisare non è mai una buona scelta, il rischio di commettere errori pericolosi per performance e brand reputation è dietro l'angolo.
Ed è proprio per questo che ti propongo alcuni punti fermi da seguire nella scelta del tuo prossimo hashtag:
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Unicità: nessun hashtag, per natura, ha proprietà o proprietario. Diventa "tuo" solo se studiato bene. Quando valuti un hashtag ricordati sempre di verificare che non venga già utilizzato. Così eviterai che la tua campagna finisca "cannibalizzata" o sporcata dal rumore di contenuti off topic.
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In tema: un hashtag per funzionare deve esprimere le tante sfumature della campagna, trasmettendo il senso di ciò che deve comunicare. Bene la creatività quindi, ma mai fine a se stessa.
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Semplicità: chiariamo subito che semplice non fa per forza rima con banale. Detto ciò, un buon hashtag non può prescindere da essere leggibile, facile da ricordare e soprattutto comprensibile agli utenti. Lo scopo, infatti, è che venga utilizzato e solo con una buona "user experience" potremo esserne certi.
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Crossmedialità: in una logica che va verso una totale (o quasi) contaminazione dei media, gli hashtag diventano un filo conduttore per la tua campagna che lavora su media diversi. In questo senso l'hashtag non è parte finale del progetto, ma base di partenza. Immagina quindi come renderlo protagonista del progetto e come comunicarlo al meglio agli utenti, così che questi siano spinti a "farlo proprio".
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Feeling: un hashtag deve avere la forza comunicativa per conquistare i suoi potenziali utilizzatori, gli utenti. Solo così sarà in grado di invogliarli a utilizzarlo. Lavoriamo di creatività (quanto basta) per renderlo ironico e brillante.
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Parla sempre al tuo target: l’hashtag è prima di tutto uno strumento di comunicazione e come tale è fondamentale che riesca a trasmettere un messaggio alla tua audience. Utile per questo è lavorare in modo data driven, analizzando interessi, trend, keyword già in uso dal tuo pubblico: scegliere qualcosa a loro già affine potrebbe essere una chiave vincente. Inutile usare un termine di slang giovanile se il tuo target è over 50, per esempio.
Conclusioni
Gli hashtag restano uno degli elementi più sottovalutati, ma fondamentali di qualsiasi buon progetto di comunicazione digitale. Usarli in modo corretto significa coinvolgere gli utenti in modo trasversale, andando oltre canali e tipologie di contenuto, ma soprattutto mettendoli al centro della campagna.
Gli hashtag sono in particolar modo "cosa loro", un mezzo per farli partecipare alle conversazioni online con un ruolo principale, spostando il focus da "brand oriented" a "user oriented".
Un modo di comunicare difficilmente utilizzabile (e controllabile) senza le salde redini del giusto hashtag.
E tu supporti le tue campagne con degli hashtag ad hoc?
Da utente, invece, cosa ne pensi? Raccontami la tua opinione nei commenti.