I più grandi falsi miti della SEO

Francesco Margherita

gen 29, 20205 min di lettura
I più grandi falsi miti della SEO

Il vero falso mito della SEO è che DEVI fare SEO.

Diciamo la verità, perché dovresti posizionare nei motori di ricerca un sito web che vende chitarre elettriche di tua produzione? Il vero falso mito della SEO non è che ripetere più volte le parole chiave in pagina aiuta a migliorare il posizionamento su Google, ma il fatto stesso che la SEO possa andar bene per qualunque progetto rappresenta oggi il più grosso mito da sfatare. È su questo che dovremmo spingere le attività di divulgazione.

Fine.

Per tentare di sviluppare il concetto posso dire subito che stiamo confondendo il mezzo con il fine. La SEO serve a migliorare il codice e i contenuti di un sito web affinché risponda meglio alle richieste degli spider dei motori di ricerca e a quelle degli utenti che cercano informazioni in particolare. Ora il primo aspetto è sempre valido, perché Google tenta comunque di assorbire tutte le pagine web che riesce a scansionare. Per quanto invece riguarda le ricerche degli utenti, occorre distinguere l’internet di oggi da quello di 20 anni fa. Se all’epoca qualunque oggetto fruito sul web veniva prima cercato attraverso i motori di ricerca - neanche sempre su Google - oggi solo una parte delle nuove visite arriva da questi, perché ci troviamo alle prese con tanti nuovi canali che pur trovandosi sul web cominciano per certi versi a somigliare a quelli tematici della TV.

L‘internet che serviva a cercare informazioni esiste e funziona ancora molto bene, ma in molta parte usiamo il web per intrattenerci mentre siamo in autobus, all’università, nelle pause di (o durante il) lavoro. Quando siamo al bagno, quando facciamo il bagno, quando siamo a letto, invece di dormire o fare l’amore. In tutte queste occasioni NON facciamo ricerche, ma ci limitiamo a “scrollare” la bacheca di YouTube, di Instagram, TikTok e via dicendo.

La grande differenza con il passato è che adesso sono i contenuti a venire da noi in base agli interessi già manifestati attraverso le ricerche che certamente facciamo all’origine per chiavi di ricerca o di brand già noti. 

Per tornare all’esempio del sito web che propone chitarre elettriche a marchio proprio, il falso mito SEO è che occorra ottimizzare le pagine perché divengano rilevanti rispetto alla query “chitarra elettrica”. Non c’entrano le tecniche che funzionano o quelle penalizzanti, piuttosto è proprio sbagliata a monte l’idea che sia necessario posizionarsi per certe chiavi di ricerca. Chiaro?

Come funzionano i motori di ricerca?

come funzionano i motori di ricerca

La domanda che leggi nell’intestazione quassù non è sbagliata, ma è spesso mal posta. Se produci chitarre elettriche non hai bisogno di sapere come funzionano i motori di ricerca, piuttosto è opportuno che ti concentri sul pubblicare contenuti interessanti per chi suona, come un videocorso, oppure interviste a chitarristi famosi, o ancora contenuti “visual” particolari. In pratica puoi usare canali come YouTube o Instagram per fare brand awareness e utilizzare il sito web per incrementare il database o convertire direttamente le visite provenienti da ricerche per chiavi di brand. Quindi no, la SEO non serve a niente.

Ma allora la SEO è morta?

Con la crescita di interesse sulle strategie multicanale e guidati dalla crescente attenzione sulle logiche di funnel marketing, si tende spesso a dire che la SEO abbia i giorni contati, ma è un’ottica miope, perché quando un sito e-commerce con 1.000 prodotti tra borse, zaini, valigie e accessori, si ritrova 100.000 pagine scansionate in copertura indice sulla Search Console, chi pensi di chiamare, il consulente Instagram?

Allo stesso modo, se vendi servizi burocratici come “disbrigo pratiche amministrative” o “certificati catastali”, che riscontro pensi di ottenere pubblicando interviste su YouTube? È chiaro che in questi ultimi casi si continuerà ad utilizzare la vecchia (e sanissima) web search come canale preferenziale per acquisire traffico da convertire. 

Chi pensa che la SEO stia morendo non ha la mente abbastanza aperta da vedere che da un lato esistono gli interessi personali e dall’altro le cose che ti servono, ma non ti interessano.

Nel primo caso funziona bene il flusso di contenuti che raggiungono l’utente mentre fa scrolling compulsivo sulle piattaforme da “intrattenimento” web. Nel secondo caso sono i motori di ricerca a mettere gli utenti in contatto con i contenuti utili. Nessuno ha interesse a trovare un avvocato divorzista, in un dentista o in un’impresa di pompe funebri, ma sono cose che a un certo punto semplicemente ti servono e di cui in condizioni normali faresti volentieri a meno. È qui che servirà sempre fare SEO.

I veri falsi miti della SEO

le più diffuse leggendo sulla SEO

Fatta questa lunghissima premessa voglio provare a fare l’esercizio di elencare tutte le cose che si pensa abbiano un’incidenza diretta sul posizionamento e che invece (prese da sole) non servono a niente o addirittura danneggiano la visibilità.

Pubblicare qualunque cosa purché abbia cadenza periodica

Si dice che per posizionarsi bene un sito web debba pubblicare almeno due o tre articoli alla settimana, ma su cosa? Fai attenzione a non pubblicare contenuti solo per mantenere costante la frequenza delle nuove uscite, perché rischi di creare sovrapposizioni o di andare offtopic rispetto a ciò che il tuo pubblico si aspetta di leggere nel segmento su cui operi. Come risultato avrai un annacquamento del progetto con relativa perdita di rilevanza e ranking su Google.

Pagine inutili in noindex

Le pagine inutili non vanno messe in noindex, perché il noindex non preserva risorse di scansione. Piuttosto domandati se sono veramente inutili - la pagina delle privacy policy ad esempio non è inutile - ed eventualmente rimuovile del tutto. Come diceva il maestro Miagi “modo migliore per evitare pugno è non essere lì”, quindi tirale via ed evita il pugno.

Risorse indesiderate in Disallow nel robots.txt

Le direttive robots servono a bloccare la scansione dei percorsi che non vogliamo vengano seguiti da Googlebot e ad evitare il conseguente spreco delle risorse di scansione destinate al nostro progetto web (crawl budget). Ora, sapendo questa cosa, non puoi semplicemente prendere tutti i percorsi non pertinenti e buttarli nel file robots a cuor leggero. Mi spiego meglio: se la metà degli URL espliciti nel codice sorgente di TUTTE le pagine del sito web fanno riferimento a percorsi da bloccare, costringiamo Googlebot a fare distinzioni per ciascuna pagina che gli diamo da scansionare. Gli chiediamo in pratica uno sforzo enorme che potrebbe essere evitato semplicemente servendo gli stessi caricamenti come percorsi asincroni, vale a dire privi di attributo href.

La grande differenza tra percorsi sincroni e asincroni sta nella priorità di scansione. I primi vengono seguiti quasi sempre, i secondi solo se il bot lo ritiene necessario. Capito?

Per approfondire puoi leggere:  Crawl Budget: ecco perché devi ottimizzarlo.

Conclusioni

Questo tipo di SEO richiede l’intervento di sviluppatori, coder, developer o come accidenti li vuoi chiamare. Non si può prescindere da queste figure tecniche, così come il web marketing non può ancora fare a meno di noi SEO.

Del resto, quando un sito e-commerce con 1.000 prodotti tra borse, zaini, valigie e accessori, si ritrova 100.000 pagine scansionate in copertura indice su Search Console, chi pensi di chiamare, il consulente Instagram? ?

E per te qual è il più grande mito SEO da sfatare?

Commenta qui sotto per partecipare a questa riflessione.

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Francesco: Sociologo, scrittore e musicista, Consulente SEO per aziende e formatore privato. Studio, sperimento e divulgo la mia passione attraverso il blog Seogarden.net . Le riflessioni sulla semantica applicata ai motori di ricerca sono al centro delle mie attività quotidiane.