Fake news e Native Advertising: chi vince?

Enrico Verga

mar 01, 20175 min di lettura
Fake news e Native Advertising: chi vince?

Notizie web: il problema della commistione con la Pubblicità

Partiamo dall’ABC: la pubblicità è la linfa vitale dei media. Ogni testata giornalistica vive di pubblicità. Conl’avvento di Internet molte cose sono cambiate e tutti i media cartacei (salvo forse quelli del mercato indiano) faticano a trovare modelli di guadagno pubblicitario digitale.

In questo post vorrei vedere con voi quali soluzioni hanno trovato i media per recuperare terreno e soprattutto quelle entrate garantite dalla sponsorizzazione di aziende, prodotti o servizi. Parleremo anche di fake news, perché in molti casi si è utilizzato questo stratagemma per guadagnare traffico e quindi mostrare a possibili inserzionisti numeri, ancora, da capogiro.

Il nuovo contesto digitale ha fornito il mezzo attraverso il quale raccogliere grandi volumi di lettori. Ma il problema si pone quando i social network diffondono sul web notizie false in tutto il mondo in frazioni di secondo.

In tutto questo, il Native advertising come si configura? Lo vediamo insieme.

Fakenews e Digital Advertisement: come si definisce il confine?

Nel 2014 l’associazione dei giornali americani (la NAA) ha smesso di riportare i numeri della raccolta pubblicitaria. Ad ogni modo, se diamo un'occhiata al grafico realizzato da Rick Edmonds, media business analyst di Poynter, qui riportato, possiamo vedere che siamo passati da un picco approssimativo intorno ai 70 miliardi di dollari alle (desolanti) cifre attuali che segnano un crollo medio del 60% in 15 anni.

Ingressi della carta stampata e dei media digitali

Fonte: Poynter - Mid-year report: The newspaper industry’s billion dollar challenge

Con la disperazione, ogni media è ricorso alle più diverse soluzioni e si è gettato su quel che poteva per "far cassa". Ma è un dato di fatto che l'equivalente digitale della pubblicità tabellare dimostra giorno dopo giorno la sua inadeguatezza: tra pop ad blocker e lettori “sgamati”, i media che vogliono raccogliere soldi devo trovare nuovi sistemi.

Cos'è il Native advertising

Si è fatto largo di recente una “rivisitazione” dei cari vecchi editoriali, articoli scritti sponsorizzati da un cliente. Tecnicamente nulla di nuovo nel mondo cartaceo ma una soluzione innovativa nel mondo digitale, affamato di contenuti da condividere (per aumentare traffico). Il termine tecnico è native advertisement (puoi leggere l'approfondimento Native advertising: cos’è e come si fa).

Ora che abbiamo visto che cos'è il native advertising non faremo fatica ad immaginarci quello che può essere uno scenario tipico relativo alle strategie di implementazione di questa tecnica per recuperare guadagni nella pubblicità. Ed ecco quindi, ad esempio, l'addetto del dipartimento commerciale di un giornale che va dalla ABC inc dicendo “Possiamo scrivervi una serie di articoli che vi mettono in bella vista”.

Vi è ovviamente un tema fortemente etico: come indicare al lettore che questi articoli non sono veri, o meglio, non riflettono una realtà oggettiva al 100%, è cosa molto importante. Di questo tema parleremo più avanti.

In soldoni quanto vale questa voce nella raccolta pubblicitaria (a livello mondiale, noi italiani siamo ancora abbastanza indietro)? Stando al recente rapporto del INMA (International News Media Association) nel 2015 l’11% del guadagno nella pubblicità sui media, in riferimento alla carta stampata, è provenuta dal native advertisement.

La stima è che entro il 2018 si arriverà al 25%.

Notizie web, Social media e Advertising

Quelle che abbiamo appena visto sono cifre importanti che fanno riflettere su che direzione prenderanno i media tradizionali (giornali cartacei, ma anche televisione). Ora domandiamoci perché i politici e Facebook (per non dire gli altri media group, immagino saprete che di recente Zuckerberg ha detto che il suo social network è una media company) vogliono uccidere la pubblicità.

La questione è machiavellica.

Prima di tutto si può convenire che i native advertisements sono sostanzialmente informazioni non oggettive. Il che significa potenziali bugie. Il problema delle fake news, o notizie false, e la loro applicazione è stato di recente affrontato dal presidente uscente degli Stati Uniti d'America, Barack Obama.

Il problema, più che l'inattendibilità della notizia in sè, riguarda la sua velocità di diffusione. Sui nuovi media, infatti, le notizie si diffondono alla velocità della luce, attingendo ad un potenziale traffico, il quale a sua volta genera introiti per i gruppi media (Google e Facebook per citarne 2).

Come le false notizie rischiano di azzoppare ulteriormente i Media

Quando parliamo di fake news e della loro capacità di propagarsi istantaneamente da un capo all'altro del mondo, dobbiamo anche notare che la diffusione di queste notizie false a volte è causata proprio dai media. Gli stessi media che si ergono a difensori della verità oggettiva e inattaccabile.

Facebook afferma di essersi già mosso contro questo fenomeno e di aver introdotto soluzioni per censurare le false notizie. Ma la cosa, forse, è ancora più preoccupante: ora Facebook controllerà e deciderà cosa è vero e cosa è falso.

Con quali sistemi Facebook potrà accertare se una notizia web è una fake news? E in base a quali criteri verrà stabilito il limite sottile che divide una notizia falsa da una notizia semi-vera?

Già a fine anno il tema ha scosso il mondo. Lo stesso Google è sceso in campo quando Business Insider ha fatto gentilmente notare che gli algoritmi di Google di fatto supportavano la diffusione di notizie false.

Quello che sembra un gioco in realtà è un problema molto serio. Come ci si può difendere ( ovvio ammesso che lo si voglia)? Consideriamo un caso molto recente che può gettar luce su un approccio nuovo.

Google, come riporta il Corriere, ha inserito in una lista nera oltre 200 siti che, secondo un suo controllo, non riportavano notizie vere. Tra i tanti anche il famigerato Byoblu, che in notizie vere, beh diciamo che non è ferratissimo. Il provvedimento di Google impedirà ai siti segnalati, considerati ingannevoli, di utilizzare il sisiema AdSense per la pubblicità.

Per quale ragione questa notizia è importante al fine di combattere le fakenews (diciamo colpire alla radice i siti che le creano in modo sistematico)?

La base di un sito è il traffic: più traffico, più soldi per la pubblicità. Le notizie false solitamente sono sorprendenti, generano stupore e curiosità nei lettori, e proprio attraverso questo meccanismo tendono ad attirare molto pubblico (un po’ curioso un po’ morboso). Se a un sito staccano le entrate economiche, nulla vieta che possa continuare a produrre notizie false ma, per senso pratico, potrà farlo solo per Hobby.

Dopotutto, spingere una notizia falsa, a meno che non si abbia un sito super seguito, implica strategie di marketing virale utilizzando i social media, il che richiede tempo e soldi (Facebook la pubblicità te la fa pagare).

Per quanto questa soluzione non sia perfetta, potenzialmente potrebbe tagliare le gambe ai siti “fuffa” di professione.

Fake news su commissione

Cosa differente sono i siti che diffondono news false su “commissione”. In questo caso tagliare la pubblicità non ha particolare effetto, giacchè la benzina (leggasi: i soldi) per far girare il sito già è stata messa.

Lo scontro tra fake news, digital advertisement e amore/odio che i media group hanno nei loro confronti è ancora tutto da scrivere.

Di sicuro la delicate differenza tra fakenews e native advertisement, anche una volta sgrezzando le notizie banalmente false, è ancora molto sottile, è c’è il rischio (ovviamente non voluto) che a qualche media possa “scivolare” molto in basso la parola “sponsored”, che di solito identifica in modo chiaro quale sia una notiza vera e quale una pubblicitaria.

Ma in questo caso che dire... Capita! Dopo tutto il presidente Jefferson era solito dire che “La pubblicità è la parte più vera di un giornale”, e ai suoi tempi, Google e Facebook non c’erano!

E tu quanto sei preoccupato dalla propagazione delle fake news?

Sicuramente ti sarai accorto di questa nuova commistione tra notizie e pubblicità. Mi piacerebbe sapere la tua opinione in merito, soprattutto come lettore di notizie web. Aspetto il tuo commento!

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Laureato in scienze politiche internazionali all'Università Cattolica del Sacro Cuore, fondatore del quotidiano International Dream Job con annunci di lavoro internazionali. Consulente strategico e istituzionale per aziende (italiane e straniere) che vogliono sviluppare il loro business in mercati esteri e nella sfera digitale. Analista, scrivo su Libero, il Sole 24 ore, Capo Horn, Longitude, Youmark il Fatto Quotidiano. Ho collaborato con Think tank come Isag, Nodo di Gordio, Equilibri, con i governi di Italia, Usa, Uzbekstan, Kazakstan, Iran, Vaticano, Sud Africa e le organizzazioni internazionali Ifad, Fao, Nato, Wfp, Medici senza Frontiere.