Contenuti Data Driven: distinguiti dai competitor

Giovanni Sommavilla

giu 05, 20209 min di lettura
Contenuti Data Driven: distinguiti dai competitor

INDICE

Scrivere contenuti incisivi (siano per un blog o per i social) capaci di scuotere mente e cuore del nostro lettore è diventato sempre più difficile.

Con quale risultato? Con il rischio di rifugiarci in copia-incolla scadenti di casi di successo. O imitando pallide “tecniche universali valide per tutti” (che, sorpresa-sorpresa, NON funzionano per tutti!) senza smuovere la nostra awareness, visibilità o distintività di brand. Siamo solo un pixel dentro una foto in 4K.

Ecco perché, a volte, fare lo sforzo di distinguersi è già un piccolo-grande KPI del successo della nostra brand/content strategy!

Mio (s)fortunato/a collega, oggi vedrai come puoi farlo grazie a una specifica e poco adottata tipologia di blog post da includere nel tuo piano editoriale: i Contenuti Data Driven.

Ovvero: le tue piccole analisi/ricerche di mercato per:

  • lanciare contenuti originali e "puri", che prima non esistevano (invece di scopiazzarli);
  • essere un “trend-setter” (invece di inseguirli);
  • farti cercare dalle testate e magazine di settore (invece di molestarli).

Le tipologie tipiche di contenuti

Immagino che masticherai a dovere i contenuti e i PED, per questo non mi dilungherò. Ma un piccolo excursus sulle tipologie di contenuti è doveroso.

Esistono davvero tanti formati di contenuti che possiamo creare per intercettare le nostre personas, per differenziarci da un competitor, o anche solo perché abbiamo un punto di forza esclusivo (ad esempio, un team di videomaker).

Come ben sai, questi contenuti possono essere particolarmente efficaci per specifici stadi del famigerato funnel di conversione. Ma anche qui: non esistono ricette cotte e mangiate che garantiscono risultati per TUTTI.

Bisogna testare e provare. Più veloce lo fai e meglio è.

Un po’ come il mantra che leggevo sempre durante la permanenza in Inghilterra: the day is TODAY.

funnel e contenuti

Tips: i format e le tipologie di contenuto vanno scelti (sorpresa-sorpresa) con un approccio data driven. Ovvero: sulla base degli obiettivi di breve, medio e lungo termine, il tono di voce e la brand identity su cui ci dobbiamo attestare. Nonché sui benchmark dai test che vengono fatti su differenti canali.

Abbiamo diverse tipologie di contenuto che possiamo sviluppare in forza alla nostra content strategy:

  • contenuti cornerstone.
  • contenuti pillar.
  • contenuti flash: brevi, monotematiche, fatte una tantum, stagionali o che riportano una news/trend temporaneo.

Sono tre macrotipologie di contenuti attorno e all’interno delle quali possono ruotare formati come:

  • interviste;
  • eventi/novità/release interne all’azienda;
  • eventi/novità di settore;
  • case studies di successo su clienti particolari;
  • guide, white paper, tutorial;
  • editoriali di manager o CEO;
  • guest blogging.

Per non addentrarci troppo nella foresta dei contenuti, personalmente trovo sufficiente avere una mini mappa dei più importanti obiettivi e di alcuni KPI:

  • awareness ► traffico, visitatori nuovi, ecc.;
  • educare il pubblico ► visite di ritorno, iscrizione alla mailing list, ecc.;
  • informare il pubblico ► traffico, visitatori unici, ecc.;
  • convertire ► lead generation.

la matrice del contenuto

Lo saprai, niente informa ed educa l’essere umano come i numeri. Sono elementi per cui nutriamo ancora una fiducia cieca, abbassando la guardia e prendendoli così come sono: ci convincono solo vedendoli. Sono per questo un’arma da maneggiare con cura.

Vediamo allora come possono darci una mano per fare la differenza sul nostro mercato e rispetto ai nostri competitor!

Data Content: Awareness + Informazione + Educazione

Prima di addentrarci nel cuore di questi famigerati contenuti data driven, serve una premessa per non scoraggiarti. Fare contenuti basati sui dati non è alla portata di tutti i brand o progetti, ma in generale per realizzarli può essere sufficiente un solo un ingrediente: creatività “data driven”.

Un concetto raccontato molto bene da Raffaele Gaito durante un suo webinar a tema Growth Hacking, e che ben si radica anche nelle strategie di marketing di un Content Specialist.

Youtube video thumbnail

Entrando (finalmente!) nel vivo, cosa si può intendere con contenuti data driven?

Sono contenuti realizzati a partire dai dati (open data oppure dati in tuo possesso) per realizzare news, analisi, ricerche o studi “fatti in casa”.

Per approfondire leggi: Content Marketing Data-Driven: scopri come farlo con SEMrush.

Le tue migliori fonti per attingere a queste tipologie di contenuti possono essere (a seconda del tuo brand, delle tue skills tecniche, del mercato in cui il tuo brand o cliente opera):

  • dati social/Analytics;
  • banche dati open e libere;
  • numerose informazioni pubbliche contenute in altri siti web o e-commerce (ad esempio: prezzi, recensioni, rating, ecc.);
  • i nostri propri clienti, fornitori, colleghi, stakeholders da intervistare.

Non fraintendere: si possono realizzare contenuti data driven anche senza doversi immergere nel complesso (e molto tecnico) mondo dei big data. Ma è una tipologia di contenuto che ben si lega a questo concetto: sfruttare una mole di informazioni per raccontare una “storia” basata su dati, siano quantitativi o qualitativi.

Grazie a questa tipologia di contenuti possiamo godere di un carburante speciale per raggiungere alcuni degli obiettivi di content marketing più importanti ancora per il 2020 e oltre:

  • non copiare, ma farti copiare dagli altri. Di fatto, fare digital PR senza fare digital PR;
  • brand awareness;
  • posizionamento da leader d’opinione con contenuti potenzialmente virali.

Ma è Maometto (l’Obiettivo) che va alla montagna (i dati), o la montagna che va da Maometto?

Indubbiamente il primo scenario. Ma con un monito grande (appunto) come una montagna: attenzione a non piegare i dati e le informazioni al volere dell’obiettivo che si vuole raggiungere con quel contenuto.

Ad esempio: un portale aggregatore di viaggi turistici esotici potrebbe aggregare e analizzare tutte le ricerche fatte e chiavi di ricerca usate dagli utenti al suo interno.
Potrebbe trovarsi davanti uno scenario come: 38% di ricerche per “isole selvagge”; 12% “savana”; 25% “foreste tropicali”; 10% “Yeti”; 15% “grotte segrete”.

Queste sono le “montagne” di Maometto. Ma il “Maometto-Obiettivo” del contenuto non potrà essere ‘Il 38% degli italiani preferisce le isole avventurose alle città d’arte’. Semmai, potrà fare una fotografia de: ‘Le 5 mete avventurose più cercate dagli italiani’. Chiaro, no?

Maneggiare dati e informazioni per farne contenuti che verranno diffusi, oggi più che mai, è soprattutto una faccenda etica: 1) stiamo promuovendo il nostro brand, ma soprattutto 2) stiamo educando il nostro pubblico, potenziale e reale. Quindi mi raccomando: l’etica sopra il business!

obiettivi del content marketing

Contenuti Data Driven: un caso specifico

Niente come un case study permette di unire i puntini e vedere la figura completa. Non sei d’accordo?

Vediamo quanto fatto con PTS srl, una PMI con sede a Modena e Bologna, specializzata nella fornitura di soluzioni IT per gli uffici: stampanti multifunzione, monitor interattivi (le vecchie lavagne LIM, per intenderci), stampanti per etichette.

Fase 1: l’idea

La scintilla che ha scatenato le idee è scaturita da una chiacchierata con tre o quattro Sales (mai dimenticarsi dell’importanza delle interviste continue quando si fa un’analisi dei propri competitor!): 1/3 delle trattative con i potenziali clienti falliva perché veniva lamentato il prezzo alto del prodotto, che “poteva essere acquistato anche su Amazon al 25% in meno”.

Le campanelle d'allarme che suonavano erano due:

  1. lato Sales e Marketing c’era bisogno di comunicare meglio, lungo la pipeline di vendita, i plus forniti al di là del mero prodotto (stampanti multifunzione, in questo caso). Comunicare il valore è sempre qualcosa di difficile da fare e da ricordare, ma obbligatorio se si vuole portare a casa il risultato e per consolidare la propria USP (Unique Selling Proposition);
  2. lato Comunicazione e Marketing c’era bisogno di “educare” i clienti e informare i potenziali nuovi lead alle macroscopiche differenze tra il brand e un qualsiasi ecommerce. Serviva materiale da condividere via email, da consegnare durante i meeting, da rendere ben visibile online, ecc.

Sono emersi in particolare due elementi che, come due parallele, mai avrebbero fatto incontrare (e scontrare) un e-commerce con un brand B2B:

  1. il customer care e lo human factor: che fosse assistenza tecnica da remoto oppure on site, che fosse la live chat di assistenza flash, oppure il team amministrativo per questioni finanziarie, un brand B2B è molto più completo ed equipaggiato per abbracciare il cliente professionista a 360°;
  2. i servizi "accessori": il rapporto professionale non si conclude mai al mero acquisto o noleggio, ma si completa con una serie di attività che rendono completa l’esperienza d’uso del prodotto/soluzione. Ad esempio col già citato servizio di assistenza tecnica in 6 ore; la fornitura di materiali di consumo a un prezzo più economico e funzionanti (nota dolente per chi acquista online ad esempio toner e cartucce); oppure ancora il supporto tecnico dall’installazione all’addestramento all’uso dei prodotti, fino allo smaltimento di materiali in disuso.

La domanda che successivamente si è fatta strada è stata:

“Ma i professionisti che comprano su Amazon sono REALMENTE soddisfatti? E se sì, cosa apprezzano di più?”.

Fase 2: cosa/come

La domanda ha condotto lo sguardo verso un ovvio elemento su Amazon: le recensioni pubbliche.

Guardare e analizzare un buon quantitativo di recensioni - per alcuni dei prodotti in vendita sia su Amazon che forniti da PTS srl - sembrava quindi la strada da percorrere. Ma come farlo? A mano, snocciolandole una ad una? Impensabile!

Mi sono quindi rivolto al magico potere del data scraping, tecniche di raccolta di specifici bocconi di informazioni da siti web. La ricetta, ora, aveva i suoi ingredienti:

  • implementazione di uno script di data scraping delle recensioni pubbliche su Amazon;
  • lista di 4 stampanti multifunzione più “popolari” sul mercato, fornite sia da PTS srl, sia in vendita sulla creatura di Bezos;
  • tool di data parsing (pulizia dei dati).

scraping dal sito Amazon

Fase 3: la raccolta e l’analisi

Lanciato lo script su quasi 1.000 recensioni pubbliche sulle pagine dei 4 modelli di stampanti, raccogliere i dati è stato veloce e semplice. Ma cosa diavolo si può cercare ora dentro tutte quelle recensioni?

Dopo una doverosa pulizia dei dati raccolti, di fatto “sporchi” (ad esempio, le recensioni senza frasi compiute, ma solo con risposte sincopate: “Ok”; “funziona”; “arrivata mi piace grazie Amazon”; ecc.), la strada da percorrere era una: un’analisi del sentiment e delle recensioni più pertinenti:

  • non avendo ancora trovato un tool affidabile di sentiment analysis, la scannerizzazione della positività o negatività dell’esperienza di acquisto su Amazon l’ho affidata all’occhio umano. Una ad una, quindi, le recensioni utili rimaste dal parsing (circa 400) sono state lette e categorizzate;
  • la categorizzazione del sentiment è stata fatta su una griglia di 5 aspetti legati all’esperienza di acquisto e di utilizzo della stampante (assistenza tecnica; consegna; qualità/funzionamento del prodotto; toner e cartucce; formazione all’uso del prodotto);
  • le recensioni sono poi state radunate e divise in due gruppi: recensioni da 1 a 3 stelle (totalmente/molto/moderatamente insoddisfatto); recensioni di 4 e 5 stelle (molto/totalmente soddisfatto);
  • una bag-of-words (una “borsa” di parole chiave individuate da cui attingere) è stato utilizzato per fare una suddivisione tra recensioni di clienti “professionisti” (uso aziendale della stampante) e clienti “privati” (uso domestico della stampante).

Fase 4: la storia

Il resto è “storia”. Nel senso che sotto gli occhi a questo punto avevo:

  • percentuali di utenti “insoddisfatti”/”soddisfatti”;
  • percentuale di lamentele ed esperienze negative/positive;
  • tipologia di lamentele/apprezzamenti più diffusi;
  • modelli di stampanti con più apprezzamenti/lamentele;
  • tipologia di elementi citati con più frequenza nelle recensioni (e quindi i più importanti).

Il data storytelling, a questo punto, si dirigeva verso un quadro specifico: comunicare ai potenziali clienti professionisti che, acquistando su Amazon, si correvano determinati rischi che possono sfociare in spiacevoli e tossiche conseguenze molto specifiche.

La “storia” ha così trovato naturale narrazione in:

problematiche

Tirando le somme

Cosa ti porti a casa da questo articolo (un po’ in stile televendita)?

  1. Mai frenare la creatività ai tuoi contenuti: meglio poco ma reso in modo unico e inimitabile, piuttosto che tanto scopiazzato;
  2. Non devono essere per forza a base di “numeri” i tuoi contenuti data driven: anche interviste/sondaggi a clienti, stakeholders, partner, possono diventare mini ricerche di nicchia che le tue reader personas potrebbero gradire. Ovviamente alla base ci devono essere consistenze statistiche significative (non interviste o sondaggi a 50 persone, per intenderci);
  3. Ricordati che “eppur si muove”: la miccia di un contenuto data driven parte dall’obiettivo e dall’idea. Ma la storia la raccontano i numeri e i dati. Una volta che li hai di fronte capisci che storia puoi raccontare. E se non va nella direzione dei tuoi obiettivi… cercane un’altra oppure utilizzala per un obiettivo diverso;
  4. E il punto 3 ci porta a questo: teniamo la barra a dritta sull’etica dei tuoi contenuti. Maneggiare i dati porta con molta facilità al rischio di derive e mistificazioni: direi – da professionista e da cittadino “che punta ad essere bene informato” – che di fake news e disinformazione ne abbiamo già abbastanza.

Take care e buoni contenuti data driven!

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