Come trovare il tone of voice giusto per un'azienda

Piero Babudro

feb 23, 20187 min di lettura
Come trovare il tone of voice giusto per un'azienda

Se non comunichi non esisti. Tuttavia, molto dipende da come lo fai.

L’esplosione dei media interattivi, lo sviluppo del mercato della conversazione e la nascita di un consumatore informato e spesso diffidente nei confronti di prodotti e servizi, comportano per aziende e brand l’obbligo di ricercare una comunicazione originale e in grado di colpire, emozionare, convincere.

Non sempre è consigliabile cercare un “effetto wow”, a meno che non si preferiscano i risultati di breve periodo, i like facili e poi si vedrà. Molto più produttivo prendersi del tempo e costruire un corretto tone of voice aziendale: un fattore molto sottile, se vogliamo, ma che più di altri consente ad aziende e professionisti di comunicare in modo sincero, diretto e trasparente. Senza quegli orpelli che spesso rendono i messaggi artefatti e legnosi: in poche parole, distanti da ciò che può fare la differenza, in Rete come altrove.

Che cos’è il Tone of voice di un’azienda e perché è importante

Lo potremmo definire lo stile, la personalità, il modo di porsi con i propri interlocutori. Esattamente come accade per le persone, le aziende si riconoscono per il modo in cui si esprimono, per le parole utilizzate e per il modo in cui affrontano gli argomenti di loro pertinenza.

Nel caso specifico di un’azienda o brand, il tone of voice è quel complesso di azioni che servono a declinare un contenuto, donando forma e cornice ai messaggi pubblicati sui diversi mezzi di comunicazione.

L’abbiamo detto, un elemento molto sottile, che vuol dire stile, spontaneità, originalità e anche un po’ la capacità di tenersi lontani da formule e stilemi tipici del linguaggio “aziendalese”. Ma non solo: utilizzare un corretto tono di voce significa trovare, attraverso un processo di studio e analisi, quel trait d’union che dona armonia alla comunicazione e fa percepire l’azienda stessa come una realtà vicina, con la quale si può comunicare senza troppe barriere e che riesce a parlare in modo da distinguersi dai competitor o da altre realtà che presidiano lo stesso mercato. 

Cosa vuole il consumatore?

Non sto parlando di stile o di furbizie del copywriting, attraverso cui catturare un consumatore che diventa preda facile di belle parole. Niente di tutto questo: le richieste dell’audience digitale sono molto più precise. Lo sottolinea, tra gli altri, uno studio di SproutSocial pubblicato in questi giorni che tratteggia l’identikit di un tone of voice adeguato: onesto, amichevole, significativo e capace di divertire.

L’86% degli intervistati pretende che il brand comunichi in modo trasparente e non menta o fornisca informazioni artefatte. L’83% che si comporti e comunichi in modo da ridurre la distanza con l’audience. Nel 78% dei casi si chiede che fornisca informazioni realmente utili. Nel 72% che diverta.

Per dare un’idea, gli altri parametri – come l’essere trendy, politically correct o sagace – sono distaccati di almeno 30 punti percentuali. Un segno chiarissimo del fatto che il consumatore contemporaneo vuole trasparenza ed è molto meno interessato alla “furbizia” di un brand e alla sua capacità di fare il brillante in ogni situazione: riflessione, questa, che idealmente viaggia in direzione del real time marketing per opportune valutazioni sulla sua efficacia a lungo termine.

Tornando all’argomento di oggi, lo studio ci spiega inoltre che i consumatori non vogliono contenuti equiparabili a spam, noiosi o che si traducono in un’esperienza utente non positiva. Come a dire che, se il medium influenza il messaggio, allora la ricerca di un tone of voice adeguato è un esercizio che attraversa molte discipline, dalla Content strategy al Design della comunicazione, e questo prima di incontrare la “retorica” di un brand o la produzione dei contenuti.  

Strategie per costruire un Tone of voice efficace

Non esiste una strada unica per definire in modo univoco il tone of voice di un’azienda, lo so per esperienza diretta sul campo. Esistono però dei punti fermi, che proverò a elencare. Nel farlo, mi riferirò a un’azienda tipo, ma è chiaro che opportuni adattamenti rendono questi punti utili anche a chi deve lavorare per potenziare il proprio personal branding. 

1. Tone of voice e identità

Sapere chi sei: a parole è facile, poi però spesso i fatti smentiscono questa convinzione. Quante aziende hanno difficoltà a guardarsi “dal di fuori” e pretendono di parlare dall’alto del loro supposto essere "leader di settore", qualsiasi cosa voglia dire, o coniugando “tradizione e innovazione”? Fin troppe, no? E infatti la loro comunicazione (e le performance che ne conseguono) sono il riflesso di tale atteggiamento.

Bene, è ora di cambiare metodo. Come? Bisogna cominciare dalla storia dell’azienda o del brand, analizzarla sotto tutti gli aspetti principali. Guardarla come fosse un racconto. Analizzare il protagonista (quindi il brand) come fosse il personaggio di un romanzo, perché di fatto comunicare significa edificare un “dispositivo narrativo”, un dialogo permanente e, si spera, costruttivo per tutti coloro che vi parteciperanno. Assunto, questo, tanto più vero in epoca di storytelling digitale.

Sapere chi sei, quindi, vuol dire costruire un soggetto tridimensionale cui spetterà il compito di narrare i propri valori e il proprio atteggiamento attraverso un uso coerente dei canali a disposizione e dei linguaggi specifici.

Vuol dire facilitarci il compito di sapere cosa abbiamo da dire e se all’interno di questo sistema di simboli c’è qualcosa che interessa di più o di meno ai nostri interlocutori, i quali si muovono non perché non abbiano niente da fare se non aspettare i nostri post e update, ma perché hanno precise esigenze pratiche.

Sapere chi sei, infine, significa non solo sapere cosa puoi o non puoi dire, ma anche trovare il modo di farlo senza calpestare le parole e gli argomenti usati dalla concorrenza. Se vuoi un elemento differenziante, eccolo nel linguaggio. 

2. Storyboard e documenti di stile

Conclusa questa prima fase di analisi, si passa all’azione. È sempre buona norma realizzare uno o più documenti preparatori utili a sottolineare la componente narrativa del brand. Non siamo nello storytelling puro, non ancora, ma ci stiamo avvicinando. Si può partire dalla realizzazione di uno o più storyboard in cui illustrare, in tutti i sensi, dialoghi ipotetici con i propri portatori di interesse e interlocutori.

Si tratta di un processo molto interessante, che sfrutta al massimo le potenzialità dei creativi e consente di aggirare determinati limiti autoimposti che, al contrario, portano le azienda a dire “leader di settore”, senza porsi il minimo problema rispetto all’efficacia di tale (non) messaggio.

Dopo aver vagliato lo storyboard viene il turno dei documenti di stile, che traducono in informazioni strategiche le prime intuizioni e contengono le primissime linee guida su comunicazione e linguaggio. Questi documenti – diciamolo chiaramente – non hanno senso se non vengono analizzati anche alla luce di un precedente studio sull’audience, sulle sue preferenze, sul linguaggio utilizzato e sulle parole chiave che compongono semanticamente una determinata conversazione digitale. 

3. Brand e personaggio

Talvolta è consigliabile umanizzare l’azienda, così da individuare il tono di voce più corretto. È possibile, ad esempio, costruire una “scheda del personaggio”, non molto diversa da quella utilizzata quando si scrive un racconto o una sceneggiatura. Questa scheda è composta da una serie di domande che aiutano a definire l’azienda tramite la metafora del personaggio. Aspetto fisico, comportamento, valori, atteggiamento interiore ed esteriore, storia e background, obiettivi, passioni, conflitti, punti di forza e debolezza: sono solo alcuni degli elementi da annotare, con l’obiettivo di ricostruire un’immagine fedele, tridimensionale e concreta dell’azienda o del brand. 

4. Il dizionario del brand

A questo punto non sarà troppo difficile stilare uno o più documenti, che potremmo definire “dizionari”, che conterranno messaggi chiave, parole fondamentali e linguaggio da utilizzare, assieme a tutto ciò che invece non può e non deve trovare posto nella comunicazione e nel marketing aziendale. Questi dizionari possono spingersi oltre, immaginando situazioni particolari e fornendo spunti su come confezionare i messaggi e comportarsi quando si conversa con clienti e portatori di interesse.

5. La formazione del team 

Una volta individuate queste linee guida, è necessario trasmetterle a chi in azienda riveste il ruolo di produttore di contenuti, dall’ufficio stampa all’agenzia di social media marketing. Tutti devono fare proprio il bagaglio di riflessione maturate lungo l’analisi a monte, e comportarsi di conseguenza. È molto utile, inoltre, prevedere sessioni di allineamento del team e, perché no?, aperte all'aggiornamento e miglioramento delle stesse linee guida, se necessario.

6. L’analisi dell’audience

Come già detto, tutte le analisi a monte hanno senso solo a metà se non corroborate da una continua analisi del comportamento online degli interlocutori e delle conversazioni in rete o sui social media. L’obiettivo, in questo caso, non è rilevare le solite metriche quantitative o i KPI, ma studiare il linguaggio utilizzato dai portatori di interesse, i temi cui sono più sensibili, quelli su cui vorrebbero (e si meritano) aggiornamenti e contenuti di qualità.

Gli scenari possibili sono molti. L’imperativo invece è uno: qualsiasi cosa si faccia in Rete, mai perdere di vista il pubblico. 

5 parole chiave per un Tone of voice efficace 

Qualunque sia il percorso scelto, le direttive riguardanti l’utilizzo del corretto tone of voice da parte di un’azienda devono rifarsi ad alcuni principi base.

Onestà – scrivere come si parla, senza mai nascondere la verità dietro formule complicate o registri troppo formali. Allo stesso tempo, non scadere in colloquialismi eccessivi o, peggio, mancare implicitamente di rispetto. Consumatore e utenti non sono i tuoi “amiconi” del calcetto: evita pertanto un gergo da spogliatoio.

Passione – le parole devono coinvolgere, altrimenti saranno parole vuote. Coinvolgere significa trasmettere passione ma, in ogni momento, sapersi mettere nei panni dell’interlocutore e, quindi, evitare paternalismi.

Reciprocità – i testi devono essere calibrati. In ogni momento l’azienda deve aver chiaro a chi si sta rivolgendo e quali sono i bisogni espressi o inespressi del destinatario di un certo messaggio.

Personalità – le parole che usiamo sono lo specchio di chi siamo. Vale anche per le aziende, che devono conversare e non pontificare, parlare in positivo e non denigrare, informare e solo poi convincere, anche e soprattutto grazie alla bontà dei propri contenuti. Altrimenti tutto quello che abbiamo detto in questi anni sul Content marketing non vale più. 

Comprensione – bisogna semplificare il linguaggio per permettere a tutti di capirci. Allo stesso tempo sarebbe il caso di non impoverirlo, stravolgerlo o violentarlo. Vedi alla voce “piuttosto che”, ma anche a tutti gli inutili forestierismi. Comprensione significa inoltre saper riconoscere che la bontà di un discorso non dipende dal volume con cui viene pronunciato. In questo caso, comprensione diventa sinonimo di rispetto. E il rispetto paga. Sempre. 

E tu hai trovato il tono of voice giusto per la tua azienda?

Hai considerato il tuo pubblico prima di sceglierlo o è stata una scelta dettata dai tuoi obiettivi personali?

Raccontami la tua esperienza!

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Consulente nel campo della comunicazione digitale, digital media strategist, docente e formatore specializzato.