Nel 2020 è impensabile che ci siano aziende ancora offline, che non abbiano mai valutato l’idea di accettare la sfida dell’online, anche solo per posizionarsi in un mercato locale. Sì, si parla di posizionamento perché, per quanto possa essere piccola la tua area di riferimento, se non riempi tu quel buco, prima o poi, lo farà la concorrenza, mettendo a rischio tutto il tuo investimento. Un vero peccato!
Vale perciò la pena chiedersi come approfittare dei benefici della rete, approdare online e guadagnare visibilità. Oggi ti parlerò proprio di questo, mostrandoti un esempio pratico e le best-practice da seguire, proprio come ho consigliato a un cliente.
Cominciamo!
Devi sapere che nel web, tanto quanto accade nel mondo reale, ci vuole pazienza. Non puoi aspettarti di aprire un sito internet e avere il giorno dopo la mail piena di richieste di preventivi, l’agenda fitta o un elenco ordini infinito. No, è come calarsi in una gola profonda, una discesa che fu definita per la prima volta nel 1898 come AIDA.
(Spoiler alert: il paragrafo che segue è per noi a cui piace capire i retroscena delle strategie. Se non ti va approfondire come si è arrivati a definire una teoria di marketing puoi saltarlo e arrivare al caso pratico!).
AIDA e BAIFDASV: i 2 acronimi sui quali dovrebbe ruotare la tua digital strategy nel 2020
Teorizzato nel 1898 da Elias St. Elmo Lewis, il modello AIDA è rappresentato da una piramide rovesciata che ripercorreva il funzionamento teorico della pubblicità ovvero una serie di step che precedono un’interazione con il brand. In altre parole, prima della conversione (sia essa una richiesta di contatto, un acquisto o quant’altro) il tuo consumatore passerebbe per:
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Awareness (Conoscenza del marchio o del prodotto);
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Interest (Interesse);
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Desire (Desiderio);
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Action (Azione).
In altre parole il tuo cliente, bersaglio della tua campagna pubblicitaria, prima imparerà a conoscere e riconoscere il tuo brand (sia un’identità di azienda o del prodotto), svilupperà un certo interesse che lo spingerà a desiderarlo e quindi compirà un’azione per cercare di comprarlo.
Ora, fin qui diciamo che il ragionamento di Lewis non farebbe una piega, se non considerassimo che oggigiorno il processo d’acquisto non è così lineare e che soprattutto tendiamo a provare un senso di sfiducia verso tutto ciò che è commerciale.
È un dato di fatto: tendiamo ad allontanare chi prova a venderci qualcosa a meno che non siamo stati proprio noi a cercarlo.
Il modello BAIFDASV parte proprio da questo assunto. A motivare le nostre azioni, da consumatore, c’è un bisogno. Questo acronimo, molto più complicato da ricordare rispetto all’AIDA, suddivide il customer-journey in otto fasi distinte:
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Bisogno;
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Attenzione;
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Interesse;
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Fiducia;
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Desiderio;
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Azione;
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Soddisfazione;
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Valutazione.
Sì, oggi i clienti (i tuoi quanto i miei) sono molto più attenti. Sanno di avere un bisogno perciò prestano attenzione alle soluzioni, si interessano a quella che tu hai da offrire e solo se si fidano iniziano a pensare di scegliere te (o i tuoi prodotti). Se fin qui tutto fila liscio, compiono un’azione, come un acquisto, e valutano addirittura com’è andata.
Devi tenere a mente che se vuoi sbarcare online, posizionarti e, gradualmente, trovare nuovi clienti dovrai fare in modo di pensare a una strategia che vada a soddisfare entrambi i modelli.
No. Non è impossibile, non è eccessivamente costoso perché il tuo allunaggio potrà tranquillamente essere costruito in fasi, in modo tale da permetterti di fare degli investimenti sistematici ma non necessariamente in contemporanea. A ogni modo, è necessario che tu prenda un pezzo di carta e scriva a lettere cubitali:
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Internet non è la panacea di tutti i mali: i tuoi problemi di gestione resteranno lì dove sono sempre stati.
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Il web non è miracoloso.
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Se non hai collezionato dati finora, calcolare un ROI sarebbe come quantificare la distanza da casa mia, in Molise, alla Patagonia a spanne.
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Non avrai alcun ritorno immediato, se non consideriamo la consapevolezza di una scelta imprenditoriale intelligente che genererà un effetto valanga.
Come posizionare il tuo business online
Sarò sincero: quando ho deciso che avrei scritto questo pezzo, non pensavo che mi sarei dilungato tanto. Il punto è che le cose da dire sarebbero molte, perciò parlando di posizionamento, prima di passare all’esempio pratico, do per scontato che tu abbia già (o che il tuo business sia interessato ad avere):
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Un sito internet funzionante;
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Dei canali social ben curati sulle piattaforme giuste per la tua buyer persona.
Purtroppo non ti basterà essere online per avere traffico. A un certo punto ti toccherà fare anche qualche investimento, sulla base del tuo budget ovviamente, per attirare tutto ciò che è offline e proseguire l’esperienza dei tuoi clienti direttamente a casa oppure per ottenere visitatori con campagne ibride che mirano a portare altre presenze direttamente dove vuoi tu: nel tuo sito.
Era proprio questa l’esigenza di uno dei clienti che ho seguito nei mesi scorsi. Un poliambulatorio in una cittadina italiana che necessitava di un progetto di posizionamento online. Una bella sfida!
Cosa ho pensato per loro? Te lo racconto qui con questo esempio pratico che, per ragioni di privacy, ho spogliato di dettagli o screenshot, e mascherato con un falso nome (Poliamb è un naming di fantasia!).
Il caso studio: Poliamb, il tuo team di medici dietro l’angolo
Tutto è cominciato con un’analisi strategica che ha mirato a definire le loro buyer persona, il customer-journey e i touch-point che potevano andare a sfruttare. In altre parole abbiamo disegnato l’identikit dei loro potenziali pazienti, abbiamo capito come arrivano generalmente nel poliambulatorio e cosa fanno prima di chiamare o di prenotare un appuntamento.
Abbiamo identificato perciò la nicchia più profittevole: le donne e gli uomini tra i 30 e i 45 anni. Abbiamo cercato di analizzare il comportamento dei potenziali lettori con un questionario per disegnare le buyer persona destinatarie della campagna.
Per approfondire puoi leggere: Come creare una Nicchia di mercato e dominarla.
Al cliente ho perciò chiesto di rispondere a domande come:
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Come si chiama la tua buyer persona? Quanti anni ha?
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Che lavoro fa e qual è il suo background scolastico, o accademico?
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Qual è la sua routine quotidiana?
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Qual è il suo problema?
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Qual è la sua più grande sfida? Insomma: cosa gli impedisce di risolvere il suo problema?
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Come si tiene informata la buyer persona?
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Fa parte di qualche gruppo Facebook o community online?
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Quali sono i suoi interessi (extralavorativi)?
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Quali sono le abitudini di acquisto della buyer persona?
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Quali le obiezioni?
Un questionario simile mi ha permesso di tracciare un vero e proprio identikit dell’ipotetico paziente. In altre parole: quando ci siamo messi all’opera era come se avessi di fronte il lettore.
Ho capito che i pazienti erano raggiungibili su alcuni social (Facebook e Instagram) e leggevano un paio di quotidiani online locali. Infine frequentavano perlopiù determinate attività nel quartiere e perciò passavano attraverso 4 o 5 arterie principali.
Messo online il sito, ho condotto immediatamente una ricerca di parole chiave che ci ha permesso di studiare un piano editoriale per il blog.
Per approfondire leggi il post: La guida di SEMrush alla ricerca di parole chiave.
Obiettivo della prima campagna del cliente era posizionare il Poliamb come centro specializzato nella diagnosi delle allergie alimentari. Perché non cominciare quindi dalla celiachia? Era questo il macroargomento che abbiamo sviluppato nel piano editoriale: gradualmente abbiamo cominciato a concretizzare (un paio di post a settimana, uno per buyer persona). I post venivano quindi condivisi attraverso Facebook e promossi con le ADS di Facebook, raggiungendo le buyer persona individuate all'inizio.
Alcuni articoli si rivolgevano a entrambi i pazienti, altri erano destinati ai soli pazienti di sesso maschile, altri alle sole pazienti donne.
Come ci aspettavamo, c’è voluto un po’ prima che i blog post cominciassero a scalare l’algoritmo e solo a distanza di mesi hanno cominciato ad avere una vita propria. Tutto regolare!
Tuttavia, sapevamo che questo non sarebbe bastato perciò il piano editoriale dei social è stato arricchito da contenuti che miravano sia a creare awareness sull’ambulatorio, i servizi offerti, il personal-branding del team, ma anche post che miravano a creare engagement.
Abbiamo usato le ADS anche per condividere contenuti un po’ più irriverenti che hanno messo subito gli utenti a loro agio, identificando il Poliamb come un centro specializzato animato da personale giovane, competente, ma anche poco noioso.
Abbiamo generato degli smart URL che abbiamo dedicato a una serie di microinfluencer, persone comunissime con un seguito ridotto, ma fedele e in target che ci hanno permesso di raggiungere alcune nicchie di mercato molto rilevanti per creare consapevolezza su certe patologie diffuse, ma ignorate. L'UTM conduceva a una serie di contenuti utili per conoscere queste malattie e quindi permettere al lettore di scegliere se fare il check-up oppure no.
Inoltre, abbiamo creato dei QR code che abbiamo distribuito con del materiale offline. Abbiamo fatto stampare dei flyer con un diverso concept a seconda della destinazione: alcuni erano per le palestre (un pubblico più sportivo e quindi abbiamo usato un tono leggermente più maschile), altri per il salone di bellezza all’angolo (ipotizzando di mettere in contatto le potenziali pazienti con la struttura sanitaria).
Il QR Code rimandava a una landing-page per riscattare uno sconto sul costo di alcuni esami diagnostici. La pagina quindi permetteva agli utenti di fissare un appuntamento per il proprio esame.
Infine, abbiamo cavalcato i trend perciò abbiamo stretto una partnership con alcune testate locali e tenuto rubriche a tema sui quotidiani in occasione di mesi della prevenzione, di giornate di sensibilizzazione e quant’altro.
Ogni articolo aveva strategicamente dei link che facevano atterrare i lettori dei giornali su diverse pagine del sito, così da fare sia un lavoro di SEO che di marketing tradizionale: Google notava traffico esterno da un sito autorevole per quella determinata area, mentre i cittadini hanno cominciato a fidarsi del brand.
Come ti dicevo, non ti rimetterò qui i risultati in termini numerici. A te a cosa servirebbero? Dopotutto ogni progetto di inbound marketing ha delle metriche diverse, a secondo dei goal di campagna e, sì, anche del contesto.
Il punto di forza del cliente è stata la fiducia. Chi sceglie di investire nel digital crede in quello che spesso definisco effetto valanga. Ci vuole un po’ prima che si avvii, ma poi è inarrestabile e da risultati a lungo termine. In agenzia, abbiamo blog che continuano a macinare lead, nonostante i clienti abbiano smesso di farci scrivere. Tu pensa!
Spero di non averti annoiato. È difficile rispondere a tutte le domande con un colpo solo perciò se ne avessi altre, usa pure i commenti qui sotto!