Clickbait: vantaggi e svantaggi delle esche del web

Monica Brignoli

mag 20, 20197 min di lettura
Clickbait: vantaggi e svantaggi delle esche del web

Clickbait è un termine inglese che significa letteralmente «esca da click» e indica la capacità di invitare l’utente a cliccare su un determinato link sul web per scoprire di più riguardo al contenuto proposto.

Nel senso più ampio, questo termine si riferisce a tutti quei titoli sensazionalistici e a quelle immagini accattivanti che portano a cliccare su contenuti di bassissimo tasso informativo, o addirittura pari a zero, che hanno poco a che fare con le loro premesse.

Originariamente fare click baiting rimandava più genericamente alla possibilità di inserire in una pagina web un hyperlink che spingesse l’utente a cliccarlo e conduceva ad uno step (form da compilare o pagamento da effettuare) prima di poter visualizzare il contenuto vero e proprio. Oggi il clickbait è una pratica molto in voga, in particolar modo sui social network, come Facebook, Instagram e YouTube, ma anche nelle SERP dei motori di ricerca, che si avvale di titoli accattivanti, ammiccanti, sensazionalistici e volutamente criptici, che spingono l'utente a cliccare, incuriosendolo con false promesse e facendo leva sull'aspetto emozionale (curiosity gap).

Chiunque di noi possiede un account social ne può notare decine ogni giorno. Non vi è mai capitato di scorrere la vostra bacheca di Facebooke cliccare su un post lanciato con una frase del tipo:

“Incredibile! Non crederai mai a quello che è successo…”

Le tematiche sono le più disparate e, a loro modo, i siti che usano la tattica del clickbaiting cercano di targettizzare il pubblico escogitando esche basate sulle debolezze e sugli interessi delle persone.

Ecco qualche esempio recente riguardante il personaggio pubblico Nadia Toffa, l’inviata delle Iene malata di cancro:

Esempio Clickbait

Si parla di remissione completa dal cancro? No, la notizia tanto attesa è la cittadinanza onoraria che Taranto ha assegnato a Nadia Toffa. Voi cosa avete pensato appena letto quel titolo?

Esempio di titolo di una notizia usato come esca

Ma la sclerosi multipla in questione non è stata contratta da Nadia Toffa, bensì da una sua follower che le ha scritto sui social. Però ormai il click è fatto.

L’obiettivo del clickbait non è quello di fornire informazioni, ma di generare visite e di incrementare gli introiti di un sito, a discapito di chi legge e dei seri professionisti che operano e lavorano sul web.

titoli accattivanti, ma pertinenti ai contenuti trattati

Dietro i facili guadagni pubblicitari, però, può nascondersi anche altro. Vista l’efficacia del clickbait, un numero crescente di hacker e cybercriminali ha iniziato ad usare questa tecnica per diffondere varie tipologie di malware, indirizzando il traffico degli utenti verso portali contenenti virus.

Quando ha avuto origine il fenomeno del click baiting?

Il precursore del fenomeno del click baiting ha un’origine antica, che risale addirittura al XIX secolo. In quell’epoca le testate giornalistiche cercavano di attirare l’attenzione degli utenti, in particolare c’era una nota rivalità tra il New York World di Joseph Pulitzer ed il New York Journal di William Randolph Hearst. Nel tentativo di superarsi a vicenda, hanno iniziato a drammatizzare e ad alterare le notizie per adattarle a idee di storie che gli editori pensavano potessero suscitare più interesse per il pubblico.

Si possono riconoscere i principi del click baiting anche nell’arte della pubblicità: i titoli hanno sempre avuto il compito di attirare il destinatario del messaggio, facendo leva sulla sua curiosità. Senza essere troppo esplicito, il pubblicitario instillava nel lettore del suo copy il desiderio di saperne di più, portandolo a leggere il contenuto vero e proprio.

Perché si è diffuso questo fenomeno? Sul web l’attenzione degli utenti è sempre più limitata e contesa tra soggetti molto diversi tra loro. Le notizie viaggiano in tempo reale e un’informazione diventa vecchia nell’arco di poche ore. In questa lotta all’ultimo like tutto sembra essere diventato permesso: titoli strillati, sensazionalismi, contenuti sotto forma di teaser, video divertenti ad alta probabilità di condivisione.

Come funziona il fenomeno del clickbait?

Il clickbait gioca sull’emozione. Esiste una corposa letteratura che spiega come i contenuti emotivi riescano ad attrarre di più gli utenti rispetto a quelli neutri: richiamano all’attenzione, sollecitando la parte primordiale dell’individuo.

C’è un altro fattore, però, che sembra incidere sul successo di questo fenomeno: una sorta di «pigrizia cerebrale» che renderebbe impossibile al lettore non interagire con ogni link in cui si imbatte. I link condivisi sui social network senza essere aperti e la permanenza media su una pagina mai superiore alle frazioni di minuti dimostrano, infatti, come nella maggior parte dei casi ci si lasci solo incuriosire dai titoli, anche se effettivamente non si è interessati fino in fondo ai contenuti. Secondo una ricerca della Columbia University, infatti, la percentuale di chi condivide un link senza averlo aperto supera il 59%. Risultato a cui fa eco un esperimento del 2016 di Science Post che ha creato un finto articolo riempito di lorem ipsum, che ha ricevuto oltre 46 mila condivisioni.

Meme su chi fa clickbait

Il click baiting funziona davvero?

È difficile rispondere a questa domanda. Ci ha provato uno studio olandese, che ha sottoposto a un campione di quasi duecento persone un pacchetto di contenuti di diverso tipo, tratti da programmi di informazione della TV locale. Una metà di questi contenuti è stata definita «sensazionalistica» perché riferita a incidenti o reati commessi, e redatta sotto forma di tabloid, con l’uso di elementi curiosi e attraenti, l’altra metà è stata definita «neutra» perché su temi di cultura o economia, sotto forma di servizi standard.

Come in parte ci si aspettava, i contenuti «sensazionalistici» hanno riscosso un'attenzione doppia rispetto a quelli «neutri», indipendentemente dall’età dei lettori e da altri fattori sociali del soggetto.

D’accordo con questa posizione ci sono diverse persone, tra cui Steve Hind, giornalista del quotidiano inglese The Guardian: egli sostiene che il click baiting sia una vera e propria opportunità, da non confinare solamente nei portali di satira o nei contenuti virali come BuzzFeed. 

Ma il clickbait è anche oggetto di critiche da parte di molti media e giornalisti, che si distanziano in maniera sempre più chiara dalle pratiche descritte, in quanto ritenute manipolative e di scarso valore.

Bryan Goldberg, ad esempio, lo ritiene un metodo di business poco professionale, legato a contenuti di scarso valore facilmente replicabili: tutti i post, ormai, possono essere pubblicati su testate differenti, e quindi si andrebbe a perdere velocemente il valore aggiunto della seduzione del lettore.

Mi trovo abbastanza d’accordo con quest’ultima opinione. Per mia esperienza direi che se gli obiettivi sono di breve termine e riguardano solo le visite o la viralità del post, allora il click baiting potrebbe anche funzionare.

Ma se un lettore scopre che dietro quel titolo c’è solo fuffa e la sua esperienza non ne esce arricchita, probabilmente deciderà di abbandonare la pagina e di non tornarvi mai più: un fallimento in termini di costruzione della reputazione di un brand e di fidelizzazione dei lettori.

Secondo gli ingegneri di Facebook, Arun Babu, Annie Liu e Jordan Zhang, gli utenti stanno sviluppando un’avversione al contenuto fraudolento che non risponde a quanto promesso. Inoltre, non dimentichiamoci che Facebook e Google hanno dichiarato guerra al click baiting:

Google disprezza i contenuti di bassa qualità e se si rende conto che i titoli sono simili a quelli usati per fare spam, c'è il rischio che diminuisca il ranking del sito, mentre Facebook utilizza un filtro antispam per diminuire la visibilità dei post falsi nella News Feed!

Qualche considerazione etica sul Clickbaiting

Non ci sono solo dubbi sull’efficacia del fenomeno. Parte consistente del dibattito in materia verte oggi su quanto sia ammissibile o deprecabile come pratica, in un contesto che si è rivelato essere un vero e proprio overload informativo.

La famosa sentenza decalogo del 1984 sui doveri del giornalista individuava nel titolo un elemento chiave per assicurare ai lettori un’informazione corretta e imparziale e ribadiva la necessità di evitare un «tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato al solo scopo di indurre i lettori a lasciarsi suggestionare». Tuttavia, visto l’affollamento e la competizione presente negli ambienti digitali, il discorso morale ed etico sul click baiting ha trovato nuova attualità, entrando di prepotenza tra le issue prioritarie per chi si occupa di informazione. Come farsi notare nel web, rimanendo fedeli alla propria mission?

clickbaiting

Usare il click baiting nella propria strategia di marketing

Se click baiting è inteso nel senso buono del termine, ovvero «attirare il lettore a fare clic su un contenuto di qualità», allora sì, è necessario. Un titolo attraente e virale non è automaticamente un contenuto che mina l’imparzialità e la credibilità di un autore, anzi, contenuti di questo tipo sono quelli che, se ben gestiti, riescono a creare più engagement e ad aumentare le visite.

L’unica regola? Deve realmente informare il lettore dei contenuti che sta per leggere, mantenendo fede alla regola d’oro del copywriting insegnata da David Ogilvy «mai mentire al cliente. Il cliente è tua moglie, non uno stupido. Mentiresti a tua moglie? Non mentire alla mia!»

Quali sono le caratteristiche di una buona headline?

Un buon titolo deve rispettare tre regole fondamentali:

  1. deve soddisfare il search intent,
  2. deve informare il lettore,
  3. deve comunicare con l’algoritmo del motore di ricerca o del social network

Ma soprattutto un titolo deve essere persuasivo

Il mio consiglio è quello di non barattare una headline chiara ed efficace con un sotterfugio per guadagnare qualche click: otterrai risultati soddisfacenti e duraturi.

E tu che cosa ne pensi dei siti che sfruttano la tecnica del clickbait?

Sbagliano in ogni caso o ci sono situazioni e modi di usare questa strategia che possono funzionare davvero?Fammi sapere cosa ne pensi!

Puoi scrivere la tua opinione qui sotto nei commenti.

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Monica è una Senior SEO Specialist da sempre appassionata al mondo della scrittura e della cultura digitale. Al termine di un percorso di studi artistico-letterario, inizia a lavorare all'interno di una web agency di Bergamo, occupandosi di numerosi progetti di successo. Dopo quattro anni entra a far parte del team SEO della Fattoretto Agency, un’agenzia Seo & Digital PR specializzata in e-commerce. Nel tempo libero si dedica alla scrittura creativa per diversi blog di settore e partecipa come relatrice o docente alle conference italiane dedicate al web marketing. Scopri i suoi articoli!